Le parole che mortificano

Ci sono frasi dette spesso con leggerezza o superficialità, sottovalutando i piccoli segnali che un po’ per volta si depositano nei bambini. Uno stralcio della mia intervista per VICE Italia sulle parole che mortificano.

FRASI SULL’ABBANDONO

“Se non ti sbrighi, ti lascio qui”
“Se fai così, la mamma/il papà va via”

L’abbandono è la più grande angoscia per un bambino, più della morte. Se il concetto della morte è qualcosa che il bambino apprenderà col tempo, la paura dell’abbandono è innata – tant’è vero che spesso i neonati piangono solo per accertarsi della presenza del datore di cure. In psicologia infantile, questo concetto è definito angoscia dell’abbandono. Pertanto, per il bambino è fondamentale percepire che il genitore sarà un supporto su cui poter contare anche in futuro. Nel periodo dell’infanzia io, da genitore, dovrei far comprendere che potrei non essere sempre d’accordo con te, che mi arrabbierò, ma questo non precluderà il fatto che tu possa venire a confidarti o che smetterò di amarti e supportarti. Con la minaccia dell’abbandono, invece, stiamo mandando dei messaggi impliciti sul fatto che c’è la possibilità che io possa non esserci per te. Se l’obiettivo è che il bambino si attivi, si velocizzi e non si disperda, sarebbe meglio ribaltare le frasi al positivo: non se non fai… ma se fai questo

MINACCE E RICATTI

“Guarda che, se urli, ti porto dallo psicologo/in collegio”
“Se non ti comporti bene, vedi cosa ti faccio”
“Se non fai i compiti, non ti compro quel giocattolo”

La psicologia e la pedagogia ci dicono che ragionare in termini di punizioni porta a una strategia fallace. In questi casi, infatti, il bambino pone attenzione non sul suo comportamento ma sulla punizione. Lo stesso principio vale anche coi premi: se annuncio che, se prenderai un ottimo voto, ti comprerò un gioco, l’attenzione si focalizzerà più sul gioco che sul comportamento. Quello che dobbiamo fare coi bambini, invece, è sostenere i comportamenti positivi e disincentivare quelli negativi, ma mantenendo il focus sul comportamento stesso. Quando un bambino attua un comportamento che secondo noi è degno di nota, è opportuno sottolinearlo, in modo che si soffermi a riflettere su questa acquisizione positiva. Specularmente, per i comportamenti negativi è opportuno applicare lo stesso principio, ma per spronare il bambino a migliorarsi. È bene riformulare a monte il messaggio: invece di dire non puoi giocare al pc perché non hai finito i compiti, anticipare con non appena avrai finito i compiti, potrai giocare.

INSEGNAMENTI E MORALE

“È un mondo difficile, è meglio se lo impari subito”
“Mangia tutto, che nel mondo ci sono bambini che muoiono di fame”
“Quando sarai grande potrai fare quello che vuoi, adesso no”

Sono più che altro un’esternazione delle difficoltà che prova l’adulto, traslate sul bambino, spesso in negativo e/o in maniera punitiva. Tendenzialmente, queste affermazioni sono molto generiche, lontane dalla vita di un bambino, e per questo poco comprensibili. Per esempio, la frase mangia tutto, che nel mondo ci sono bambini che muoiono di fame, nonostante il messaggio che noi vogliamo veicolare è apprezzare il fatto che avere del cibo non è scontato, se lo formuliamo in questo modo sembra che stiamo colpevolizzando il bambino per eventi che non riguardano la sua volontà. Inizialmente il tema della morale dovrebbe essere affrontato in maniera metaforica, grazie soprattutto all’aiuto della narrazione; giocando, leggendo o guardando le storie di personaggi vari in situazioni varie, è come se il bambino, sviluppando un senso di empatia, riuscisse a sperimentare a livello fantastico situazioni sia positive che negative, ma con una rete di protezione.

CONFRONTI CON COETANEI E ADULTI

“Perché non sei come tuo cugino, che è così ubbidiente?”
“Sei come tuo padre/tua madre”
“Faccio io, che tu non sei capace”

Quello che può servire è un paragone con il te bambino di ieri: sono contento perché ieri al parco hai giocato con tutti i bambini, e avete condiviso i giochi. In questo caso, da genitore, sto sottolineando delle cose che hai dimostrato di saper fare, che sono alla tua portata, e fanno parte di te.

STEREOTIPI E PAURA DEL GIUDIZIO SOCIALE

“Non piangere, non vorrai che dicano che sei una femminuccia”
“Tu sei una signorina, non devi fare così”
“No questo giocattolo non è adatto per te, compriamone un altro”

Ci sono studi interdisciplinari che abbracciano sociologia, medicina, psicologia che dimostrano quanto ruoli ed espressione del genere siano definiti arbitrariamente dalla società in cui siamo immersi. Ci sono esempi di cose considerate maschili in una società, ma che in un’altra sono invece appannaggio del femminile. Eppure superare gli stereotipi è un problema degli adulti, perché sono più introiettati di quanto pensiamo e durissimi a morire. Una delle più grandi preoccupazioni per un genitore è spesso il giudizio sociale. Per noi gli schemi sono tanto rassicuranti, quindi vedere che nostra figlia si comporta come dovrebbero comportarsi le bambine della sua età, e che nostro figlio si comporta come dovrebbero comportarsi i bambini della sua età, ci fa sentire dei bravi genitori ed educatori, perché non sentiamo addosso il giudizio sociale su di noi. Un’educazione non stereotipata significa eliminare totalmente tutte quelle parole come femminuccia, maschiaccio, signorina, ometto e sforzarsi di mettere a disposizione dei bambini le stesse identiche possibilità. Un esempio è la varietà nei giochi – animali, cucina, pirati, bambole, macchinine – tramite cui sarà la bambina o il bambino a scegliere. La presenza di varietà capita spesso quando si hanno altri fratelli e sorelle, e permette un’operazione sana: il bambino fa esperienze diverse, costruisce un proprio gusto, si mette nei panni dell’altro.

Di stereotipi di genere ne ho parlato in diversi altri post.

L’ultima foto e quella di copertina sono di Davide Buscaglia, i fiori di carta de La Casa di Tania.

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