Uomini e fiori

La comunicazione in Occidente si basa sempre di più sul canale visivo e una delle conseguenze dirette più evidenti di questa tendenza è l’evoluzione del rapporto che tutti noi, nella nostra quotidianità, abbiamo con la fotografia. Non è detto, però, che ad una maggior esposizione – mi verrebbe da dire assuefazione – alle immagini corrisponda un cambiamento anche rispetto alla gestione della propria di immagine, ovvero alla visione che ciascuno ha di sé.

Difficile che passi un giorno senza che si scatti o ci si scatti una foto, ma questo non significa necessariamente che esserne i protagonisti ci faccia sentire a nostro agio. A me scattare foto piace molto, è un gesto creativo, mi permette di esprimere una certa visione delle cose e coglierne le peculiarità. Molto meno mi piace farmi fotografare.

Col tempo, però, ho capito che evitare di farsi fotografare spesso è indice di una negazione più profonda. Talvolta non vedersi nel ruolo di soggetto di una foto può nascondere il non volersi vedere, vedere proprio come individuo. Ecco perché il discorso merita di essere esplorato.

L’aspetto positivo è che la stessa logica, applicata in maniera virtuosa, ci porta anche a ribaltare la situazione: forse se sperimentiamo un modo diverso di stare davanti all’obiettivo, un modo più vicino alla nostra sensibilità, possiamo fare della fotografia uno strumento per accogliere parti di noi, guardarle con più indulgenza, fino a sentirle nostre.

In sostanza, ho capito che la questione non è tanto ritratto sì/ritratto no, ma ritratto come.

Accanto a queste riflessioni, avverto un bisogno crescente di momenti che mi riportino in contatto con elementi e contesti naturali. Di più, con situazioni e relazioni naturali.

Ho deciso quindi di coinvolgere Davide Buscaglia affinché interpretasse queste istanze e realizzasse una serie di scatti che potessero accompagnare alcune mie condivisioni. L’ispirazione è arrivata potente indagando proprio la relazione tra uomo, natura e fotografia, e l’incontro tra forma e contenuto si è rafforzato con la scoperta dei cosiddetti Uomini dei Fiori.

Nelle province meridionali dell’Arabia Saudita, al confine con lo Yemen, questi uomini custodiscono tradizioni secolari, tra cui quella di indossare delle corone floreali sulla testa, abbinandole ai colori dei vestiti o della barba tinta con l’henné.

Si ritrovano presto la mattina, prima che faccia troppo caldo, per scegliere al mercato i propri ornamenti: il costoso gelsomino o la più diffusa calendula, che conferiscono un bell’aspetto e un buon profumo, ma anche basilico selvatico, fieno greco ed altre erbe medicinali utili contro il mal di testa.

Un uomo musulmano che, anziché portare la kefiah araba, sceglie di decorare il proprio corpo con fiori e piante, oltre a offrirci un’occasione per scardinare alcuni stereotipi attorno al mondo maschile, è anche un grande messaggio pacifista: in queste terre di conflitto, in cui da tempo è in corso una guerra, gli Uomini dei Fiori pur appartenendo a gruppi diversi sparpagliati di qua e di là della frontiera, sentono di avere lo stesso sangue. Già solo la loro presenza li distingue dal pensiero dominante nei rispettivi paesi.

Il fotografo francese Eric Lafforgue, che ha lavorato per importanti testate giornalistiche e di viaggio internazionali, ha realizzato spesso reportage su realtà sconosciute al grande pubblico, tra cui proprio gli Uomini dei Fiori. Seguendo l’hashtag #flowermen si possono vedere alcuni suoi scatti.

La corona che indosso e che mi fa sentire un re è opera di Opi Illi.

Questo errore è visibile solamente agli amministratori WordPress

Errore: Nessun feed trovato.

Vai alla pagina delle impostazioni del feed di Instagram per creare un feed.